Itri
è un comune oltre 9.000 abitanti della provincia
di Latina. Si trova lungo il percorso della via Appia, tra
Fondi e Formia, in corrispondenza di un passo dei monti
Aurunci (passo di San Donato). Il territorio comunale arriva
fino al mare, in corrispondenza di Punta Cetarola. L'attività
principale è quella agricola, incentrata intorno
alla produzione dell'oliva di Gaeta, con produzione di olive
in salamoia e di olio con spremitura a freddo. Fa parte
della XVII Comunità Montana dei Monti Aurunci e del
Parco naturale dei Monti Aurunci.
ETIMOLOGIA
Essendo collocato lungo la via Appia il nome potrebbe derivare
dal latino iter (viaggio o strada). Secondo altri il nome
si riferisce al culto del Dio Mitra, fortemente sentito
in loco.
IL
CASTELLO
Il Castello si articola intorno ad una torre quadrata con
piccola cinta merlata (attribuita al duca di Gaeta Docibile
I nell'882). Il nipote di Docibile, Marino I, collegò
quindi ad una seconda torre poligonale. Una terza torre
cilindrica, collegata da un muro con cammino di ronda, sorge
più in basso, direttamente sopra la via Appia. Quest'ultima
torre è detta "del coccodrillo", in quanto
secondo la leggenda nel fossato si trovava uno di questi
animali, al quale venivano dati in pasto i condannati a
morte. Una terza cinta di mura completò il complesso
intorno alla metà del XIII secolo. Danneggiato dai
bombardamenti durante la seconda guerra mondiale, acquistato
dalla provincia di Latina nel 1979, ceduto al comune e restaurato
a partire dal 1992, il Castello di Itri avrebbe dovuto ospitare
dal 2003 il "Museo del brigantaggio", suddiviso
in tre sezioni ("Ragioni della storia", "Ragioni
del mito" e "Ragioni del luogo"). Durante
i lavori di restauro, in seguito ad una richiesta di fondi,
aventi come mittente la Comunità Europea e come destinatario
il comune stesso, il sindaco e la giunta itrana hanno ritenuto
opportuna la collocazione di suddetto museo in una diversa
zona del paese, località Madonna delle Grazie.
LE
CHIESE
La chiesa di San Michele Arcangelo, nella parte alta, risale
all'XI secolo. A tre navate l'edificio è in stile
arabo-normanno. La facciata è dominata dal campanile
quadrato, , ornato da piatti in maiolica colorati. Si articola
in quattro piani, dal portale di accesso alla chiesa, a
due bifore e una trifora, con coronamento a cuspide. Il
campanile della distrutta chiesa di Santa Maria MaggioreLa
chiesa di Santa Maria Maggiore, fu distrutta dai bombardamenti
del 1944, ad eccezione del campanile duecentesco, recentemente
restaurato. In origine fuori dall'abitato (presso San Martino
in Pagnano), il monastero benedettino di San Martino, fu
ricostruito all'interno delle mura. Distrutto quindi anch'esso
dai bombardamenti del 1944, è stato quindi ricostruito.
Nella città bassa si trovano le fondazioni del conte
di Fondi Onorato I Caetani: il convento di San Francesco
(1324) e la chiesa della Vergine Annunziata (probabilmente
1363), ricostruita dopo i bombardamenti e oggi intitolata
a Santa Maria Maggiore. In origine su una collina fuori
dal paese, ma ormai raggiunta dall'espansione dell'abitato,
si trova la chiesa di Santa Maria di Loreto, con annesso
convento dei Cappuccini (dal 1574). Ad una decina di chilometri
dal centro abitato, sulla sommità del monte Fusco
a 673 m s.l.m., sorge il Santuario della Madonna della Civita.
FORTE
DI S. ANDREA
In direzione di Fondi, nella gola di Sant'Andrea, è
stato rimesso in luce e valorizzato un tratto dell'antico
percorso della via Appia. Qui, sui ruderi di una villa romana
di età repubblicana (I secolo a.C.), sorgeva un forte
che fu utilizzato da Fra' Diavolo nella difesa contro i
Francesi nel 1798.
ORIGINI
E CENNI STORICI
Il sito ebbe una frequentazione in epoca preistorica: sono
stati rinvenuti resti di epoca neolitica (strumenti in pietra
e in ossidiana) e dell'età del bronzo (Valle Oliva,
II millennio a.C.). Fece parte del territorio degli Aurunci,
conquistato quindi dai Romani, che vi realizzarono la via
Appia nel 312 a.C.. Il sito non divenne tuttavia un centro
abitato, anche se è probabile la presenza di una
stazione di posta. Il nome del paese deriva probabilmente
dal termine latino iter ("via, cammino"). Un antico
tracciato viario, di cui si sono ritrovati resti di basolato
nella località Calvi, collegava il luogo all'attuale
Sperlonga. La presenza di un serpente sullo stemma cittadino
ha dato origine alla leggenda, priva di riscontri archeologici,
che la fondazione della città fosse derivata dagli
abitanti della città di Amyclae, sulla costa (ricordata
dalle fonti, ma non identificata), fuggiti nell'interno
per un'invasione di serpenti. Secondo tale leggenda il nome
della città deriverebbe dalla figura mitologica dell'Idra
di Lerna. Le prime notizie di Itri risalgono al 914 (in
un atto di vendita è citato uno "Stefano, itrano").
Tra il IX e l'XI secolo sorse il Castello su un'altura che
dominava il passaggio della via Appia. Itri fece parte del
ducato di Gaeta e passò quindi sotto i Dell'Aquila,
signori di Fondi e quindi ai Caetani. Appartenne sempre
alla diocesi di Gaeta. L'abitato sorse prima intorno al
castello (città alta) e si espanse solo in seguito
lungo la via Appia (città bassa). I due nuclei sono
separati dal torrente Pontone (o Rio Torto). Un altro nucleo
abitato era sorto nella zona di Campello, abbandonato nella
seconda metà del XV secolo. Fino all'unità
d'Italia Itri appartenne quindi al Regno di Napoli (poi
Regno delle Due Sicilie e fece parte della provincia di
Terra di Lavoro. Vi nacque nel 1771 Fra' Diavolo (Michele
Pezza), che fu prima fuorilegge e quindi colonnello dell'esercito
borbonico di Ferdinando IV, in lotta contro l'occupazione
dei Francesi, che lo presero e impiccarono a Napoli nel
1806. Storicamente parte dell'antica provincia di Terra
di Lavoro in Campania, nel Regno d'Italia fece inizialmente
parte della provincia di Caserta, passò nel 1927
alla provincia di Roma, e successivamente alla nuova provincia
di Latina (Littoria), nel Lazio, nel 1934. Nel 1911 erano
presenti nel comune cinquecento dei circa mille emigranti
sardi arrivati per lavorare al V lotto della Direttissima
Roma-Napoli. Nel contesto nazionale erano già presenti
elementi di razzismo contro i sardi, chiamati sardegnoli,
che non scomparvero fino alle imprese della Brigata Sassari
nella Prima guerra mondiale. Gli emigranti ricevevano un
salario inferiore rispetto agli altri lavoratori, ma si
rifiutarono di pagare ogni tangente alla camorra, allora
infiltratasi nell'appalto, e per tutelarsi cercarono di
costituire una lega di autodifesa operaria. Il 12 e 13 luglio,
a seguito di futili pretesti, avvengono due imboscate a
cui partecipano gli stessi notabili del paese, nell'indifferenza
delle forze dell'ordine. Si contarono, non senza difficoltà
e intralci, 8 vittime e 60 feriti, tutti sardi, mentre dalla
Corte d'Assise di Napoli trentatré imputati furono
assolti dai giurati popolari e nove condannati in contumacia,
a trenta anni di carcere. Fonti locali parlano di una ribellione
contro i sardi da parte della popolazione "stanca di
sopportare violazioni e prepotenze [...] soprusi dogni
genere", di come "i sardi si trovavano nella condizione
psicologica dei conquistatori [...] in questo centro-sud
da poco conquistato dal loro Re" e "gli itrani
non trovarono alcuna difesa nello Stato Sabaudo mentre ai
sardi fu accordata una sorta di tacito salvacondotto tanto
da portare all'esasperazione la società itrana non
nuova ad atti di resistenza violenta.". Durante la
seconda guerra mondiale, nel maggio del 1944, i bombardamenti
distrussero il paese e i suoi monumenti al 75%.